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https://www.wired.it/attualita/tech/2021/03/04/penale-processo-digitale-deposito-atti-pdp/
La pandemia ha messo a nudo i problemi della digitalizzazione della giustizia penale, dal deposito degli atti per via telematica alle udienze da remoto
Quando, il 9 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia restrizioni in tutta Italia per fermare l’esplosione di casi di coronavirus, anche la macchina della giustizia deve pensare a un piano B. La strada è una: digitalizzare. Se la giustizia civile, dopo una decina d’anni di attività del portale per il processo civile telematico (Pct), arriva all’appuntamento avendo già tolto le rotelle alla bicicletta, quella penale, invece, deve tuffarsi nella piscina dei grandi senza aver mai preso lezioni di nuoto.
È così che nasce il portale per il deposito degli atti penali (Pdp), che a tendere deve diventare, per il ministero della Giustizia, il canale principe per gli avvocati. Il decreto legge Ristori impone che memorie, documenti, richieste e istanze previsti dall’articolo 415-bis del codice di procedura penale (che regola l’avviso all’indagato di chiusura delle indagini) debbano passare solo e soltanto dal Pdp. Il 13 gennaio un nuovo decreto aggiunge alla lista denunce, querele, opposizioni all’archiviazione, nomine, revoche e rinunce del difensore. Tuttavia il portale disattende da subito le aspettative: malfunzionamenti e difetti di progettazione sono il pane quotidiano degli avvocati.
Il Pdp è solo un tassello nel puzzle che deve trasformare un pachiderma che si nutre di carta, come la giustizia penale, nel suo gemello digitale. Della rete di applicativi e programmi per smaterializzare faldoni e atti fanno parte anche il Sistema informativo di cognizione penale (Sicp), una stanza virtuale dove si possono visualizzare le carte, nato nel 2016, e il Tiapp, per gestire in modo integrato i documenti, dall’archivio alla notifica, entrambi utilizzati dal personale amministrativo delle cancellerie e delle segreterie.