L’ art. 42 del D.L. Cura Italia qualifica, ai fini previdenziali, il contagio da Covid-19 sui luoghi di lavoro come “infortunio sul lavoro”, facendo così rientrare a pieno titolo tra gli obblighi del datore di lavoro la prevenzione del contagio.

COVID-19 E RISCHI PENALI DELL’IMPRENDITORE.

22/04/2020

A tal fine, la recente normativa di carattere emergenziale impone all’imprenditore – la cui attività non sia sospesa – l’adozione di una serie di misure volte al contenimento della diffusione del Coronavirus, che andranno ad integrare gli obblighi di prevenzione e protezione dei lavoratori già sussistenti in capo all’impresa in tema di Sicurezza sul Lavoro.

Anche in ambito di responsabilità penale, dunque, il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo 2020 sarà riferimento per il datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo, ex art. 2087 del codice civile, della cosiddetta “best available technology”, ossia dover sempre utilizzare le misure tecnologiche, organizzative e procedurali più aggiornate ed avanzate disponibili.

Tra i punti di maggior rilievo del Protocollo si segnalano:

  • Chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart work, o a distanza;
  • Maggiore rigore nell’esclusione dai locali aziendali di persone con temperatura corporea oltre i 37,5° C o altri sintomi influenzali o chi, negli ultimi 14 giorni, ha avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o proviene da zone a rischio;
  • Regolamentazione in forma prudenziale dell’accesso di fornitori esterni (ivi comprese di aziende che operano in regime di appalto all’interno del sito);
  • Obbligo di provvedere alla pulizia giornaliera e alla sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago;
  • Imposizione di tutte le precauzioni igieniche;
  • Adozione dei dispositivi di protezione individuale;
  • Accesso contingentato agli spazi comuni;
  • Prevedere orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni;
  • Evitare ogni spostamento, trasferta, missione, riunione con presenza contestuale di più persone o evento formativo;
  • Proseguire nella sorveglianza sanitaria periodica.

Va da sé che tali prescrizioni andranno ad aggiungersi a quelle previste dal d. lgs. 81/2008.

Una volta appurato quali siano gli obblighi di un imprenditore, occorre ora capire quali siano i rischi per eventuali inadempienze.

Innanzitutto, come detto poc’anzi, potrà essere indagato per i reati di natura contravvenzionale propri del d. lgs. 81/2008.

Se tendenzialmente la contestazione di tali contravvenzioni è accompagnata dalla possibilità di estinguere il reato a fronte dell’adempimento della prescrizione impartita, appare opportuno evidenziare come dovrà in ogni caso essere valutata attentamente l’eventualità di opporsi al verbale comminato dagli Organi Ispettivi o di Vigilanza, poiché la contestazione potrebbe integrare proprio quell’elemento specifico atto a configurare la colpa del datore di lavoro, nel caso in cui dall’omessa ottemperanza della misura “anti-Covid” derivasse la malattia o la morte di un lavoratore.

Non solo, l’imprenditore che violerà le disposizioni generali volte al contenimento del virus – dalla violazione delle distanze di sicurezza, alla carenza dei dispositivi di protezione individuale – si troverà a corrispondere una somma variabile tra 400 euro e 3.000 euro a titolo di sanzione amministrativa, aumentata fino ad un terzo se la violazione avverrà mediante l’utilizzo di un veicolo (art. 4, D.L. 19/2020).

Qualora venissero violate restrizioni concernenti attività industriali, produttive, commerciali, è previsa la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni e in caso di reiterata violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.

Tuttavia, l’aspetto che desta maggior preoccupazione è l’eventualità che, in conseguenza del mancato rispetto degli obblighi gravanti sul datore di lavoro, un lavoratore si infetti. Al datore di lavoro, infatti, potrebbe essere contestato reato di lesioni colpose o, peggio, omicidio colposoaggravati dalla violazione di norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590 c.p., reclusione da 6 mesi a 3 anni; art. 589 c.p., reclusione da 2 a 7 anni).

Non va, tuttavia, dimenticato che, in sede penale, l’evento danno occorso al lavoratore potrà essere addebito al datore di lavoro solo se sarà dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, un rapporto di causa effetto tra l’omesso adempimento degli obblighi di prevenzione e l’evento dannoso.

A rispondere delle conseguenze del contagio da Coronavirus potrebbe non essere soltanto il datore di lavoro persona fisica, ma anche autonomamente l’impresa, non importa se organizzata in forma individuale o societaria. Il d.lgs. 231/2001, infatti, disciplinando la responsabilità da reato delle persone giuridiche, prevede gravi sanzioni direttamente a carico dell’ente, qualora le violazioni di cui sopra siano commesse nell’interesse o a vantaggio dell’attività d’impresa.

Tornando alle responsabilità a cui è esposto un imprenditore, se un lavoratore Covid-positivo non rispettasse la quarantena recandosi sul luogo di lavoro e contagiasse dei colleghi, il datore di lavoro compiacente potrebbe trovarsi a rispondere di concorso nel reato di epidemia colposa (art. 452 c.p., reclusione da 1 a 5 anni).   Stessa sorte rischierebbe il datore di lavoro laddove l’omessa prevenzione o vigilanza provocassero il contagio di più persone.

E, ancora, nel caso in cui un imprenditore si trovasse a porre in commercio beni di prima necessità a prezzi speculativi, potrà essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 501 bis c.p. che prevede, oltre alla pena da 6 mesi a tre anni di reclusione, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, nonché l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali o industriali per cui sia chiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell’autorità.

Preme, infine, soffermarsi brevemente sull’eventuale obbligo di aggiornare ed integrare il DVR (Documento di Valutazione del Rischio) ex art. 271 d.lgs. 81/2008.

Innanzi a forti dubbi interpretativi si è pronunciato l’Ispettorato Nazione del Lavoro il 13 marzo 2020 in una nota così riassumibile.

Giacché trattasi di rischio da agente biologico non riconducibile all’attività aziendale ma derivante da una situazione esterna, il datore di lavoro non sarebbe tenuto ad alcun obbligo relativo al DVRal di fuori degli ambienti di lavoro sanitari o socio-sanitari.

Tuttavia, prosegue l’Ispettorato, si ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere – in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente – un piano di intervento o una procedura per l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore – o soggetto a questi equiparato – assicurando al personale anche adeguati Dispositivi di Protezione Individuale, ovviamente nel rispetto di quanto emanato dal Governo, dalle Regioni, e da tutte le Autorità competenti, chiamati ad indicare in progress le misure ed i provvedimenti che via via si rendono più opportuni in ragione della valutazione evolutiva dell’emergenza.

Solo al fine di garantire la tracciabilità delle azioni così messe in campo, sarà opportuno che dette misure, pur non originando dalla classica valutazione del rischio tipica del datore di lavoro, vengano raccolte per costituire un’appendice del DVRa dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del d.lgs. n. 81/2008.

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